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"Se non conoscessi Massimo Arrigoni forse il mio giudizio sarebbe stato diverso o meglio l'analisi dei suoi manifesti sarebbe stata diversa. Perché ogni sua poesia è un manifesto e una finestra aperta sul mondo con relativo sdegno. Urla e magari qualche sassata. Urla perché dall'alto del vicolo vede il mondo e ordina, chiede, aggiunge, scompone, si sbraca, si manifesta e manifesta. E anche una finestra per chi ha scelto l'autoisolamento e da dove ogni tanto cala il cestino il cui scopo è di svuotarsi delle parole-nutrimento e non di riempirsi. Ogni poesia scrivevo è un manifesto, un grido e un sussurro, ogni manifesto è diverso dall'altro. Si parte da un punto e si arriva a un altro e nella pagina successiva si passa a un altro manifesto, a un altro punto di partenza. L'autore soffre di perdita della memoria lunga e quella dei fatti recenti permea ogni suo dire senza curarsi della contraddizione. Ogni scritto è un fatto a sé. Poesia fattografica anche se non descrittiva, non realistica, le sue composizioni hanno le forme e i colori delle mele di Cezanne. Dietro le sue parole si agitano paesaggi geometrici e le parole sono paesaggi geometrici. Poesia di parola, non di verso libero, ma di verso contraddetto da fisionomie e colori non abituali." (dalla prefazione di Corrado Paina)