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Da un arazzo di Wanda Casaril, maestra della Fiber Art, nell'intrico aereo delle coincidenze, dei cambi di stato, prende il via "Storie dal giardino". Un brulichio di eventi, immensi e minuscoli, appaiono nell'intreccio dei fili azzurrati, occupano lo spazio come una ragnatela mattutina. Nel giardino - dove nulla è immobile - muta la luce, non necessariamente la materia. Da lì, angolo di sorprese lagunari, un po' nascosto dietro le facciate dei palazzi, si può cominciare a narrare. Da lì, bosco dei giusti, isola nell'isola. Sono ricordi e dichiarazioni d'amore alla vita, spesso animati dall'intima, visionaria coscienza che sia la fiducia nella realtà la prima fonte di gioia e di pace. Sono la dolcezza e il dolore colti negli occhi dei piccoli migranti che l'autrice incontra e prende per mano; le storie di Moussa con tutti gli abiti addosso e di Karim che dà il nome ai morti nel deserto, di Mara di Aleppo e di Said Islam che scrive lettere alla madre perduta. A tratti, si scorge il giallo intenso dei fiori che i lampedusani hanno infilato, un giorno dopo l'altro, tra le sbarre del centro di accoglienza. Per amore, per credere perdutamente alla libertà e all'innocenza, e scegliere di cambiare.