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La traduzione di Piero Marelli raccoglie l'impervia sfida a confrontarsi con un'opera "epocale", dichiarandosi subito come una frequentazione del testo di Rilke, escludendo ogni leittralità. Egli, che già si è cimentato con la traduzione delle Elegie Duinesi, ha trovato nei Sonetti il motivo di una irresistibile attrazione: il richiamo alle cose stesse, l'amore per la vicenda che unisce indissolubilmente vita e morte, la passione per le cose e l'appello a salvarne la bellezza nella scrittura non poteva non essere corrisposta da un poeta come lui, che da sempre si è chinato sulle cose, anche sulla loro lingua, anche quella più diminuita, ma insieme piena di cosalita e portentosa come il dialetto, dove riIkianamente riposa la densità dell'esperienza di generazioni. Piero è poeta epico e civile, il suo approccio e la sua rilettura delle grandi figure classiche, Antigone, Eloisa, Simone, ha sempre rivestito il tono della denuncia, della chiamata al riscatto e mai del semplice compianto o commiserazione. Esse sono state da lui rivisitate nella forma di un lamento, una condanna, un appello aderente alla realtà delle cose. Ma l'attenzione per la poesia di Rilke non è certo qui un ripiegamento in tematiche intellettualistiche né un rivolgersi all'interiorità esistenziale, come non lo sono state per Rilke stesso: Piero vuole portare con sé, nella sua poesia, quella bellezza dell'esistenza, delle cose così come sono, della loro finitezza, che egli tanto ama e a cui si tiene.