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Il libro ruota attorno a due osservazioni fondamentali. La prima - che potrebbe apparire come una banale ovvietà - è che la parola è fatta per essere parlata e solo secondariamente scritta. Una osservazione che si trova al centro di una serie di studi abbastanza recenti, ma ormai divenuti "classici" di: Milman Perry, Marcel Jousse, Eric Alfred Havelock e - soprattutto - Walter Jackson Ong. Essa comporta delle conseguenze decisive: la parola "parlata" rimanda ad un Parlante, il quale deve essere vivo e contemporaneo. Questa parola è dotata di autorità, in quanto garantisce la presenza della «parola vera» (Sal 119,43) in mezzo a noi; è un'autorità vivente che svolge una funzione fondamentale nella vita della Chiesa. L'altra è che il termine "infallibilità", essendo un termine teologico, obbedisce ad una legge basilare di ogni discorso serio su Dio: è "analogico", cioè si dice in molti modi essenzialmente diversi. Il magistero non è dunque infallibile solo quando "definisce solennemente", ma anche - e soprattutto! - quando garantisce autorevolezza e inerranza in modo organico e non meccanico alla predicazione ordinaria del Vangelo da parte del Papa e del collegio dei vescovi in comunione con lui.