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È stato definito "l'unico vero cantastorie italiano", "un profeta", "l'ultimo grande poeta popolare, da studiare nelle scuole", "l'Omero dei diseredati". Dagli storici della musica e da Lucio Dalla era considerato il capostipite dei cantautori italiani. Lo hanno paragonato ai grandi di tutti i tempi: da Atahualpa Yupanqui a Simon Diaz, da Bob Dylan a Woody Guthrie, da Leonard Cohen a Johnny Cash. Considerato un maestro e amato da intellettuali e cantautori, vecchi e nuovi - da Italo Calvino a Pierpaolo Pasolini, da Giovanna Marini a Eugenio Bennato, da Pino Daniele a Daniele Sepe, da Otello Profazio a Teresa De Sio, da Goffredo Fofi a Moni Ovadia, da Renzo Arbore a Vinicio Capossela - ha avuto una vita rocambolesca, miserabile e fortunata, trionfale e tragica. Lui è Matteo Salvatore: "portatore" ed esecutore straordinario di un centinaio di melodie "popolari", legate al mondo dei braccianti, dei diseredati, degli ultimi. Nato ad Apricena in provincia di Foggia, analfabeta rimasto tale per tutta la vita, Salvatore fu un musicista sublime e allo stesso tempo un uomo istrionico, un imbroglioncello. Fu anche protagonista di un femminicidio. Nel 1973 uccise la sua compagna e "seconda voce": un caso da prima pagina per i giornali dell'epoca.