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Dai viaggi in bicicletta si può imparare molto. Privilegiando la faticosa lentezza del mezzo a due ruote rispetto alla comoda velocità dell'automobile, ci si riappropria più facilmente della dimensione umana dell'esistenza che la modernità sembra aver pericolosamente accantonato. Le distanze percorse tornano a esprimersi sulla base di parametri soggettivi, e questo porta a maturare una visione alternativa e non stereotipata del territorio. Cicloturista di lungo corso, Fabio Saracino si è messo sulle tracce dell'autenticità e dell'identità che il progresso ha quasi ovunque cancellato. Questa ricerca l'ha portato stavolta in Appennino, la spina dorsale d'Italia in cui continua a conservarsi ciò che la pianura ha dilapidato: le tradizioni, la genuinità delle relazioni sociali, la capacità di mantenere un rapporto di equilibrio con l'ambiente naturale, una residua dimensione agropastorale, una gastronomia ancora espressione della specificità territoriale, storica e culturale. Ha scoperto paesaggi meravigliosi ed ecosistemi intatti che non hanno nulla da invidiare a quelli alpini, ma di cui si parla solo quando occorre un evento tragico. Ha esplorato borghi colpiti dai terremoti recenti e passati, che lentamente ma con silenziosa caparbietà si stanno risollevando, nonostante la diaspora dei loro abitanti. L'Appennino gli si è rivelato come un luogo fisico custode di un'altra dimensione esistenziale, un punto di collegamento fra passato e presente e fra Mediterraneo ed Europa, un potenziale laboratorio in cui sperimentare nuove e più armoniose modalità di stare al mondo. E ora ce lo racconta in questo libro, il diario del suo viaggio in bicicletta iniziato nell'Oltrepò Pavese e terminato nel Parco del Pollino: migliaia di tortuosi chilometri di storia italiana.