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A partire dal tardo periodo della dinastia Qing, la Cina, nell'intento di porre in essere una 'modernizzazione' della società rispetto ai modelli tramandati dall'antichità, ha iniziato ad ispirarsi ai modelli giuridici offerti dalla tradizione fondata sul diritto romano. Questo dialogo tra la tradizione romanistica ed il diritto cinese, a poco oltre un secolo dal suo avvio, ha permesso, con riferimento ad un tema centrale nei rapporti umani quale può essere quello del contratto, di evidenziare elementi che consentono di riflettere su alcuni aspetti essenziali di tale figura, così come è venuta a cristallizzarsi nel corso degli ultimi secoli. È emerso che, in particolare al di là dei confini della tipicità (sia 'formale' che 'funzionale'), sebbene l'accordo 'deformalizzato' senz'altro rappresenti un elemento trasversale di indiscutibile peso ed utilità, sarebbe preferibile prendere adeguatamente in considerazione le distinzioni relative alla struttura oggettiva dei negozi. Di qui una arricchente dialettica tra contratto come accordo e contratto come sinallagma nella tradizione romanistica, che alimenta, ad esempio, il dibattito tra Labeone, Pedio, Aristone e Ulpiano prima, e Connannus e Grotius poi, condizionando gli svolgimenti storici della categoria contrattuale sino alle configurazioni che viene ad assumere nei codici civili moderni, incluso il recentissimo Codice civile della Repubblica popolare cinese, ove, peraltro, si è trovata ad attecchire su di una tradizione giuridica in cui l'elemento della reciprocità veniva, già dall'antichità, sotto diversi profili in risalto.