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La paura è insieme "ciò che fonda il politico, ciò che muove la politica e ciò che la politica promette di rimuovere". La sua metamorfosi dà origine al politico come dimensione dell'agire umano in cui il diabolico si fa simbolico, generando il mondo e le sue istituzioni. Quando gran parte dell'umano viene consumato dalla paura, però, con essa rischia di venir meno anche la simpatia, l'altro motore e guida dell'agire politico, quell'illusione positiva che ci porta a "scambiar di posto con l'altro, con quel che l'altro prova e patisce", lasciando intravedere quel "luogo umano condiviso" nel quale i no di chi prende partito incontrano "i molti sì che ne fioriscono". Per questo "occorre che sempre torniamo a metter mano all'artificio, come il re di Corinto sempre di nuovo preme contro la potenza della pietra le sue mani sporche di terra. Per esistere e sussistere, il mondo ci chiede una metamorfosi ininterrotta della paura, una metamorfosi presidiata, difesa, sempre di nuovo ricostruita. Così impone la fragilità della nostra «creatura»". A partire da questa prospettiva teorica di Roberto Escobar, diversi studiosi a lui legati da un lungo e fecondo rapporto intellettuale hanno inteso omaggiare un esponente di rilievo della filosofia politica italiana, proseguendo insieme a lui il confronto e la ricerca sui fondamenti e le dinamiche della politica.