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Il lavoro i intende analizzare la condizione giuridica degli immigrati non appartenenti agli Stati UE, muovendo dalla premessa che la discrezionalità legislativa in materia di flussi migratori si è sovente tradotta nella adozione di una normativa discriminatoria, che tende ad escludere gli stranieri appartenenti a Stati "terzi" dal godimento di diritti, che, invece, la Costituzione riconosce alla persona come individuo, a prescindere dalle diversità etniche, linguistiche, culturali e religiose. Ed, invero, da un lato, l'aumento dei flussi migratori ha acuito l'esigenza di assicurare un efficace controllo dei confini; dall'altro lato, la percezione di insicurezza derivante dall'intensificarsi del terrorismo internazionale è stata spesso associata alla presenza stabile e radicata di immigrati, rafforzando in questo modo l'istanza di un maggiore potere di controllo e di sanzione da parte dello Stato ospitante. L'indagine mira a porre in rilievo il rapporto tra il potere amministrativo attraverso cui si realizzano gli obiettivi perseguiti dalle leggi sull'immigrazione, e la posizione soggettiva dell'immigrato extracomunitario, onde verificare la tenuta dell'assetto che l'ordinamento ha configurato nei confronti dei poteri autoritativi, anche rispetto ai profili che riguardano la tutela giurisdizionale. In particolare, la tematica dell'azione amministrativa è analizzata alla luce del contesto normativo nazionale ed "eurounitario", mediante una prospettiva sistematica diretta ad indagare la possibilità di applicare la disciplina sulla libertà di soggiorno, senza, tuttavia, violare le garanzie che l'ordinamento ha posto a presidio della relazione tra autorità ed individuo. La riflessione è, quindi, volta a verificare se attraverso la valorizzazione del principio di proporzionalità sia possibile allineare, in chiave interpretativa, la normativa sulle condizioni di soggiorno degli stranieri ai principi costituzionali, nonché agli obblighi che discendono dalle fonti sovranazionali.