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"Parallelamente al processo di standardizzazione dell'informazione economicofinanziaria ed al conseguentemente dibattito sulle ripercussioni - in termini di utilità della comunicazione d'azienda e di efficienza dei mercati - generate dalla regolamentazione contabile, il mondo accademico e le principali autorità di vigilanza dei mercati mobiliari hanno costantemente indagato sul frequente utilizzo da parte delle aziende di indicatori di performance Non-GAAP (noti anche con l'espressione "indicatori alternativi di performance" - APM), analizzandone la natura e le principali determinanti e misurando, nel contempo, l'impatto esercitato da una simile disclosure sulle decisioni prese dalle diverse categorie di stakeholder. Non di rado, infatti, a corredo dell'informativa obbligatoria e dei relativi indicatori periodici di risultato, le aziende presentano volontariamente numerosi parametri - di natura reddituale, patrimoniale e finanziaria - che, apportando significative modifiche ai principali aggregati di bilancio, offrono misure di performance alternative (delle volte persino contrastanti) rispetto ai risultati raggiunti in seguito all'applicazione dei principi contabili di generale accettazione. Attraverso il calcolo di margini intermedi non previsti dagli schemi di bilancio o mediante l'integrazione/sottrazione di componenti di reddito alle singole voci già iscritte nel conto economico dell'esercizio è possibile infatti adattare lo standard contabile alle peculiarità aziendali (riconducibili, ad esempio, al modello di business adottato o a contingenze esogene che possono aver provocato il verificarsi di eventi non ricorrenti), al fine di presentare un quadro fedele in merito allo stock patrimoniale ed ai flussi reddituali e finanziari."