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Se sia più opportuno affidare la decisione giurisdizionale a un giudice collegiale o monocratico è un problema non nuovo e costituisce una vexata quaestio dibattuta fra gli studiosi del processo penale. La questione non è di quelle che comportano una definizione unica per tutti i tempi e per tutti i luoghi. Rilevano scelte di politica giudiziaria caratterizzate da un'intrinseca relatività sul piano storico e normativo, circostanza che impone di considerare ogni soluzione offerta come contingente. Se le argomentazioni addotte a sostegno della struttura giudicante unipersonale si pongono tutte sul piano dell'efficienza e della celerità processuale, quelle alla base della pluralità si radicano nell'indiscusso ruolo che il collegio ricopre per assicurare l'imparzialità del giudice e una maggiore affidabilità della decisione. Ovviamente si deve trattare di una collegialità autentica, che vede il contributo di tutti i giudici dell'organo giurisdizionale e il rispetto del principio di maggioranza. E, se è vero che in Costituzione non vi è un esplicito riferimento alla composizione pluripersonale del giudice, tuttavia, se si indaga sul senso della collegialità come garanzia, si scopre come, in realtà, il Costituente abbia considerato la stessa un valore inquadrabile nel sistema delle garanzie cui il legislatore ordinario deve attenersi per disciplinare la composizione dell'organo giudiziario. L'assenza dell'udienza preliminare nei procedimenti innescati dalla citazione diretta a giudizio davanti al tribunale monocratico, poi, oltre a non sembrare un fattore di effettivo snellimento dell' iter processuale, si rivela un'ulteriore perdita di tutela per l'imputato capace di esplicare i suoi effetti sui rapporti fra le parti nel corso delle indagini preliminari e fra queste e il giudice del dibattimento. Su questo sfondo il presente lavoro ripercorre la disciplina del procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, cercando di proporre alcune soluzioni interpretative agli aspetti più problematici.