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«Una volta mi sono fatto mordere da un ramarro. Non so bene per quale motivo. Forse funziona così, se sei curioso. O forse non avevo tutte le rotelle a posto. Forse volevo vedere quanto un bambino potesse resistere al dolore prima di urlare. lo, allora, mica lo sapevo che il bambino morso dal ramarro era già un tema famoso. Qualcosa che parlava di morte e delusione, di quello che arriva di sorpresa e ti rovina i piani. Mio padre è un professore di educazione artistica: è stato lui a mostrarmi quel quadro di Caravaggio, quello in cui un ragazzetto pallido e riccioluto se ne sta lì, con quell'espressione tra lo spaventato e l'offeso, mentre il ramarro gli penzola dal dito, aggrappato al polpastrello con i denti. lo, quando infastidivo i ramarri nel bosco vicino a casa, non sapevo che ogni felicità è passeggera, così come ogni gloria. Io non lo sapevo. Volevo solo capire cosa c'era nel mondo. Eppure, anche se non lo sapevo, tutto aveva senso. Il ramarro. Il dolore. Il bosco.»