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Anche se lungo un'evoluzione storica tutt'altro che lineare, a partire dal Rinascimento europeo il cammino della scienza moderna si è sempre più caratterizzato per una concezione «analitica» del realismo conoscitivo. Con questa espressione ci si riferisce al principio gnoseologico che confida sull'evidenza di un «mondo esterno» non creato dalla mente umana e nello stesso tempo mai raggiungibile nella sua interezza, ma solo in base a uno sguardo selettivo, in tal senso «analitico». Di qui, l'abbandono di ogni illusione ontologizzante e l'imporsi della inevitabilità di una componente assiomatica delle teorie scientifiche. Su queste basi, non si è mai spento il compito della persistente intenzione realista di affinare via via la plausibilità di tali postulati. Impegno, questo, che non poteva non realizzarsi arricchendo la loro articolazione enunciativa mediante il richiamo a vincoli finalizzati a deassiomatizzarne le versioni originarie, euristicamente «pure». In questa direzione, teoria e ricerca hanno proceduto insieme a vantaggio di una crescente maturazione delle singole discipline scientifiche. Nel campo delle scienze sociali risulta esemplare, al riguardo, l'evoluzione degli studi sul comportamento collettivo e di quelli sul mutamento sociale; i primi per la loro indifferenza alla chiave esplicativa degli «effetti posizionali» dell'azione sociale (assiomatica della disposizionalità); i secondi con particolare riferimento all'analisi dei processi di innovazione (nel consumo, nella produzione, nel comportamento strategico), per il loro progressivo abbandono di algoritmi primitivi ispirati a una concezione del cambiamento come discontinuità rispetto al passato e alle tradizioni.