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Fin dalle sue origini, il comunismo maturò l'ambizione di scatenare una rivoluzione su scala europea. Così, già sul finire degli anni Dieci, il Comintern promosse l'azione di agenti in alcuni Paesi europei nel tentativo di generare un moto rivoluzionario. Dopo la Germania, l'Inghilterra e la Francia, anche l'Italia, che ospitava una nutrita colonia di esuli russi sin dalla fine dell'Ottocento, divenne il terreno nel quale spie russe e ungheresi, e agitatori italiani, nel periodo tumultuoso del biennio rosso, attuarono un'opera di propaganda e di infiltrazione che mise in uno stato di massima allerta le autorità italiane. Questo studio - basato su fonti in larga parte inedite del Museo Storico dell'Arma dei Carabinieri, del Ministero degli Affari Esteri, dell'Archivio Centrale di Stato, nonché di alcuni Archivi di Stato locali - ricostruisce il pericolo bolscevico nella visione delle autorità italiane, svelandone i tratti fondamentali in politica interna, nella genesi di un anticomunismo radicale, e a tratti irrazionale, e in politica internazionale, nell'analisi del ruolo delle missioni militari per la prevenzione dell'ingresso di agenti ostili nel territorio europeo, e dei tentativi di coordinamento tra le potenze dell'Intesa nel fronteggiare la minaccia bolscevica. La storia di una ossessione rossa, di cui le autorità italiane furono - al contempo - vittime e artefici.