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Perversa è stata, finora, l'incidenza urbanistica sulla dimensione del paesaggio: il piano ha quasi sempre generato perdita d'identità storica, scarsa pregnanza linguistica, nessuna organicità spaziale, in buona sostanza una forsennata corsa al nulla che ha trasformato città e campagne nel regno dell'indifferenza omologata, senza capire né accettare né tanto meno adoperarsi affinché il paesaggio si confermasse come linfa di coscienza e di cultura, di riconoscibilità e d'appartenenza, di crescita e di ricchezza, e senza consapevolezza del fatto che, quanto più l'abbiamo seviziato, tanto più ci siamo allontanati da noi stessi e dalla nostra storia; ma, adesso, è d'obbligo stimare i valori paesaggistici nel piano comunale individuando i margini di trasformabilità ammissibili e i corrispondenti modi d'intervento, in risposta al Codice dei beni culturali e del paesaggio che pretende - per ogni ambito omogeneo individuato, "da quelli di elevato pregio paesaggistico fino a quelli significativamente compromessi o degradati" - specifici obiettivi di qualità corrispondenti ai valori constatati; è questa un'ottica evoluta rispetto alla precedente (e fortemente inapplicata) consuetudine dei vincoli apodittici, avviando in tal modo un'urbanistica che giustifichi la conservazione, riqualificazione, rigenerazione urbana e ambientale attraverso la piena conoscenza dei paesaggi.