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A distanza di oltre 500 anni dalla sua scomparsa, Louise Labé (1524 ca -1566), delicatissima poetessa lionese, mantiene intatto il suo fascino di donna libera e bella, evoluta ed emancipata, padrona, insieme, del suo corpo e della sua dignità, della sua cultura e della sua vita privata. Sebbene per secoli emarginata dagli ambiti educativi ed accademici perché considerata una voce avversa a quella delle patrie tradizioni - dunque femminista - il suo antico grido di protesta contro lo sfruttamento e la prevaricazione della donna da parte del suo "vir" incoerente e spesso brutale, e quindi anche ad opera degli ambiti maschilisti socialmente affermati, non si è mai spento. Perché l'uomo, secondo Lei, per essere veramente degno "d'honore e di rispetto", deve sempre, da "vir", mirare ad essere un "civis urbanus"; e la donna, non più ignorante e bigotta, svincolarsi dalla tendenza alla passività, ovvero da quello stato di rassegnazione che si è fatto complice della sua secolare inferiorità, per ambire ad un tenore di vita quanto più consono alle potenzialità della sua indole, davvero capace di qualificare la sua persona.