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Sin dal titolo quest'opera prima di Luca Grazioli ci suggerisce la sua natura di racconto filosofico, o di divertissement intellettuale a tinte sgargianti e immaginifiche, dove i personaggi sono oggettivati in una vetrina di sagome e specchi, entro cui la voce narrante - il personaggio d'un barista - guarda con stupore e meraviglia, sospeso a un succedersi di epoche, popolazioni, costumi e miti che sfilano man mano nelle storie riportate da qualche fortuito avventore. Personaggi che parlano all'autore fra i tavolini del suo bar, intraprendendo conversazioni improbabili - o solo non ancora immaginate - con lui, uomo del presente traballante. Di là del bancone possono capitare ometti grassocci usciti da un fumetto, signore retrò un po' stordite, scienziati e cammellieri, ognuno col suo fardello da raccontare, da scaricare nel mezzo del presente apparente, fra stracci, Campari e bicchieri, la propria pretesa di esistenza e al contempo l'inevitabilità di essere assorbito dal dubbio, dalla necessità di essere impropri: all'ambiente, al tempo, alle parole. Il dubbio dunque è sovrano, e dopo qualche pagina l'autore-barista non può che rassegnarsi ad incontrare quell'impropria mascherata senza porsi più tante domande, raccogliendo i pezzi di un'enigmatica fantastoria, sgocciolata da chissà quale grondaia.