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Di passaggio a Roma o New York, Torino o Bilbao, svoltando l'angolo di una strada, l'atrio di una stazione o l'entrata di un museo, Giorgio de Finis capta degli istanti, dei pezzetti di tempo - non dei fuggevoli momenti di complicità o di simpatia, piuttosto dei frammenti di vita quotidiana e banale, riproducibili all'infinito nella monotonia del decoro urbano contemporaneo. Come se, in fondo, sia poco importante se quella fotografia, o quell'altra, sia stata scattata in un posto o in un altro, un po' più presto o un po' più tardi. Di tanto in tanto, un dettaglio architettonico indica una localizzazione, ma è, appunto, un dettaglio e, se la leggenda della fotografia non ci illuminasse, avremmo ancora più spesso difficoltà a sapere in quale luogo, o nonluogo, siamo, nonostante lo riconosciamo perfettamente e, in un certo senso, ci ritroviamo lì, perché assomiglia a tutto ciò che ci circonda.