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Jean de Sponde (Mauléon 1557 - Bordeaux 1595), dotto umanista, calvinista, lontano dal clima della Pléiade, i suoi riferimenti non sono Du Bellay o Ronsard, piuttosto Marot e Bèze, traduttori, su commissione di Calvino, dei Salmi davidici. Occasione per lo stesso Sponde di quelle Meditations sur les Pseaumes, così finemente intrecciate per temi e tono con i suoi versi. Ma l'ortodossia del poeta è alquanto accidentata: a trentasei anni, seguendo il suo re, Enrico IV, abiura la Chiesa di Ginevra e torna a quella di Roma. Per lui il mondo fu davvero "campo del turbine", e solo nella sua opera, esigua ma di grande intensità e sofferta eleganza, si compone un dissidio che fu storico e esistenziale insieme. La poesia di Sponde, penitenziale e sensuale, testimonia infatti un drammatico dualismo dell'io, diviso, dilaniato (tra spirito e carne, morte e vita, ecc.), e insieme la sua tragica e comica insussistenza, con un linguaggio sontuoso e un passo aereo, lieve, sempre a qualche metro dalla terra. I primi cinque sonetti appartengono alla raccolta postuma Amours, gli altri a Stances de la Mort, Sonnets sur le mesme subject.