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Descrivere l'«esperienza di linguaggio» di Andrea Zanzotto, significa ricostruire il senso complessivo di un percorso lirico di eccezionale coerenza, individuandovi, nel contempo, le particolarità semantiche e stilistiche, peculiari e distinte. In particolare, i diversi «momenti testuali» che si succedono nel corso del primo ventennio di attività di Zanzotto (da Dietro il paesaggio del 1951 a La Beltà del 1968), tendono a offrirsi all'attenzione critica quali «tentativi» compiuti nell'ambito di un'«esperienza poetica» unitaria, in forza della «lunga fedeltà» prestata dall'autore alle primitive occasioni tematiche della propria poesia. Sotto l'impulso di impetuose suggestioni culturali (dalla linguistica alla psicoanalisi, dalla filosofia alla matematica, dalla scienza medica a quella fisica, chimica, astronomica...), il più grande poeta vivente compie un ostinato riattraversamento critico di traguardi liricamente già raggiunti, trasponendoli in livelli sempre più sofisticati di linguaggio, in relazione a strati tanto più complessi quanto meno ordinari e immediati di realtà. Quello che viene progressivamente a delinearsi, tra le pagine di questo libro, è, pertanto, l'immagine di un iter di ricerca intrinsecamente sperimentale, che nella sua fluida instabilità si ispira all'ideale di una «densissima lingua» definita dalla strenua collaborazione tra motivazioni concettuali e soluzioni espressive. Lo stesso confronto con le stesure autografe delle liriche zanzottiane, attuato nel corso del presente saggio, dimostra come si tratti di un ideale a tal punto perseguito da esigere, dall'autore, una costante attenzione retrospettiva sul proprio operato. L'«esperienza poetica» di Zanzotto, così densa di cose «tangibili», così radicata in uno spazio e in un tempo «materialmente» constatabili, giunge, in ultima analisi, a fondare la propria unità in una dimensione «altra» dalla realtà e dalla storia, eccedente la semplice successione cronologica dei diversi libri.