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La dimensione storico-estetica della rovina, interpretata come ciò che resta di un'opera del passato, è esplorata soprattutto da architetti e restauratori che, decretandone l'appartenenza a un tempo altro, ne hanno imposto, quasi mai però realmente praticandola, l'immutabilità. Per l'evidente parentela con le vicende umane, questo tema è scrutato anche da poeti, scrittori, filosofi e psicologi che disponendola in una cornice di vita hanno mostrato come solo accettando ed elaborando la perdita raffigurata dalla rovina, sia possibile accogliere senza censure i segni, quasi sempre dolorosi, che essa trattiene. Per questo, pur conservando i tratti che ne proteggono lo statuto e la dimensione mutila, si può legittimamente trasformare.