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Marco Gal approda al terzo libro che s'intitola "Messaille". Tragitto esemplare di tanti poeti che arrivano al dialetto cercando una più vibrante lingua di poesia, una più segreta vena di voce rimpiattata nelle parlate periferiche ed escluse: passaggio verso l'incanto sonoro della lingua, verso l'orecchio in ascolto della mano che scrive (non importa se sulla carta o sul computer), lontano sia dalla natura standardizzata e basica (ormai) dell'italiano veicolare sia da quel linguaggio poetico che viene avvertito come incorporeo e inerte.