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Il pittore Francis Bacon aveva il vezzo di considerarsi l'ultimo discendente di Francis Bacon filosofo. Può darsi che non si trattasse soltanto di civetteria. Entrambi, infatti, amarono andare controcorrente ed ebbero la passione della denuncia nei confronti delle credenze consolatorie e dei pregiudizi della propria epoca. Francis Bacon non è un pittore piacevole. Benché sia stato forse l'ultimo grande figurativo della pittura contemporanea, benché la sua tavolozza abbia lo splendore degli antichi maestri del colore, le sue figure umane si distinguono a malapena dai quarti di buoi squartati e macellati che spesso fanno loro da cornice sullo sfondo. Le figure in primo piano difficilmente potrebbero essere chiamate umane. Sono organismi in via di disfacimento, per metà animali e per metà umani. Sono grumi di malessere in stato di agonia e tuttavia, non si sa come, cocciutamente vivi. L'autore si interroga sugli aspetti motivazionali, sui dinamismi inconsci sottesi a una pittura che sembra voglia sedurre lo spettatore con l'ambiguo fascino del macabro. Quali sono le componenti di base della malattia creativa di Bacon i germi che gli hanno permesso di trovare nell'espressione figurativa sia la sua realizzazione artistica sia la sua autoterapia, l'autoriparazione del Sé? Con l'ausilio degli strumenti introspettivi della psicologia junghiana il testo mostra attraverso quale processo, il gemello deviante e il gemello creativo il Bacon pittore e il Bacon uomo - abbiano interagito reciprocamente.