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Significativo esempio di persistenza di temi classici nella cultura europea della prima metà del XX secolo, l'opera lirico-fantastica "Gli Uccelli", del compositore tedesco Walter Braunfels, occupa una posizione del tutto peculiare nella storia della musica e dello spettacolo di quel periodo. Mentre i movimenti d'avanguardia rappresentano impietosamente alienazione e nevrosi dell'uomo moderno, travolto dal ritmo vorticoso e straniante della società industrializzata, l'autore de "Gli Uccelli" si rifugia nel sogno, nell'utopia. Braunfels accompagna i suoi spettatori in una visionaria avventura il cui diretto precedente risale addirittura al V secolo avanti Cristo: il libretto dell'opera è infatti un adattamento della commedia "Gli Uccelli" di Aristofane, in cui la potenza fantastica e lo scintillante estro creativo del poeta greco attingono uno dei risultati più felici. Al fascino di questo mondo sospeso fra terra e cielo non si sottrae la cultura moderna: ma se già nel 1780 W. Goerhe proponeva al pubblico di Weimar un parziale adattamento della commedia aristofanea, è solo nella fase conclusiva dell'età romantica che si assiste, per opera di Braunfels appunto, ad un effettivo recupero del modello antico. Sul confronto tra il lavoro del musicista tedesco e la pièce aristofanea si incentra il presente studio, che fra l'altro comprende la prima traduzione italiana del libretto originale.