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Una chiave di lettura affatto pertinente per questa silloge di Silvia Cozzi ci è fornita, già ad apertura di libro, dal titolo medesimo, che è più che esplicito nell'alludere alla musica - non solo, è ovvio, come tema esteriore (una lirica, del resto, è dedicata puntualmente al jazz), ma come elemento intrinseco e caratterizzante di questa poesia. Musica - voglio dire - come ritmo e come eufonia, come cadenza regolare e come sapiente alternanza degli accenti nell'intrecciarsi di rime e di assonanze: musica insomma come diretta espressione delle leggi metriche che governano da sempre la poesia italiana e che in qualche modo sono sopravvissute al dominio, da inizio Novecento in poi, del così detto verso libero. Quella di Silvia Cozzi, in effetti, è e vuole essere una poesia "metrica", una poesia, cioè, tesa a testimoniare, pur nella varietà delle soluzioni formali, una programmatica fedeltà al canone metrico tradizionale. Basta pensare, per un verso, alla fitta presenza in questi testi dello schema del sonetto, cioè di quella che rimane ancor oggi la forma più emblematica e più immediatamente riconoscibile di tale canone, e per un altro verso alla "consistenza" pur sempre metrica anche dei componimenti più "liberi" della silloge, nei quali regna sovrano ancora l'endecasillabo (accanto ad altri versi comunque canonici), non senza l'immancabile presenza di rime e di assonanze.