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Stendhal, per scrivere La Certosa di Parma, trovò l'ispirazione nella lettura del Codice civile, Gadda prese a modello lo stile di uno spedizioniere marittimo, Franz Kafka scrisse sempre con ferocia, dove gli capitava, come gli capitava, senza il complesso dell'editing. Nessun grande scrittore ha mai frequentato una scuola di creative writing, né ha mai seguito regole precise, forse perché la letteratura non è una catena di montaggio fordista, ma è invece il regno dell'ignoto, di una virgola che manda all'aria un'esistenza. Scrivere, insomma, non è un esercizio pacifico o metodico, ma equivale, come dice Rimbaud, a «rendere l'anima mostruosa», a «crepare nel balzo attraverso le cose inaudite e innominabili». E allora cosa aspettiamo a chiudere queste scuole dove si può imparare tutto, tranne l'originalità, il talento, lo stile? Squillaci, con questo breve e appassionato saggio, esorta l'aspirante scrittore a guardare altrove, anche a rinunciare al suo sogno se necessario, sicuramente ad abbandonare la catena di montaggio della narrativa di consumo.