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"Giphantie", anagramma del cognome dell'autore Tiphaigne, è un'oasi meravigliosa, circondata e custodita dai deserti africani. Un viaggiatore del diciottesimo secolo, portato in essa da un terribile uragano, racconta degli "spiriti elementari" che la popolano e delle loro straordinarie "invenzioni", capaci di "anticipare" dispositivi tecnologici a noi così familiari come la fotografia, la radio o la televisione. Sorprendente è la precisione con cui il narratore descrive il procedimento tecnico delle "macchine" costruite nell'oasi; in particolar modo, è il metodo fotografico ad essere presentato con dettagli impressionanti ben settantanove anni prima che Daguerre e Talbot lo rendessero "operativo". Visionario e rivelatore, questo resoconto immaginario di viaggio non è solo una delle prime opere di "fantascienza" della letteratura europea, ma anche un lucido affresco delle passioni dell'uomo moderno, che proprio in quella tecnologia - qui "precorsa" - sembra aver riposto tutte le sue aspettative e tutte le sue speranze.