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Da tempo la fabbrica di lavorazione del malto in porto aveva smesso la sua attività e la sua originaria funzione. Dagli anni '80 le regole del mercato e della produzione l'avevano via via svuotata del suo significato e della sua utilità e nel corso degli anni dell'abbandono è diventata il precario rifugio di molti. Ora chi ne ha preso in carico la responsabilità ha avviato un processo di riqualificazione complessiva e per l'edificio non c'è stata altra strada che la demolizione. Tra incuria e abbandono, nel mezzo di un destino segnato, sono però spuntate tracce di vita, indizi di esistenza, bagliori di dignità. In spazi vuoti che si sono riempiti, l'evidenza della presenza umana viene gradualmente a svelarsi in un percorso visuale in costante equilibrio tra contenuto emotivo e forza evocativa. Luoghi abbandonati dalla nostra società tornati a vivere, margini strappati ricuciti raccontando storie solo apparentemente a noi lontane. Li definiamo "invisibili", quasi a voler giustificare la nostra indifferenza; li identifichiamo come "clandestini", affermando la nostra autorità; li immaginiamo "invasori" invocando un potere che ci difenda.