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Elaine Grew è fuori di sé; o forse troppo dentro. Suo padre è morto. Si sente sola, con il cuore serrato e la testa in subbuglio, con le amiche fredde e distanti. Litiga con la madre che non riesce a capirla e rifiuta una scuola che non le dà conforto. C'è un solo posto in cui la sua rabbia sembra placarsi, una casa fuori da tutto, o meglio, dentro tutto, in mezzo ai campi: un giardino di famiglia, un luogo di memorie e sogni, un rigoglioso deserto da esplorare e trasformare. Qui Elaine ricomincia: sulla terra può strisciare invisibile e ritrovare il coraggio, l'audacia, la forza di urlare mentre la pelle si graffia e il fango le copre braccia e ginocchia. Qui, soprattutto, evoca un ragazzo che forse è un fantasma, forse no, che la conduce a uscire da sé o, meglio, ad andare dentro di sé fino in fondo. In una sequenza di scene che sembra una lunga canzone modulata sulle tante sfumature dei sentimenti in gioco, in un testo teatrale che assomiglia a una sceneggiatura, per la precisione con cui le immagini, le voci, le azioni sono descritte e prendono vita nelle parole, lo scrittore inglese ci immerge ancora una volta nella sua indagine sul potere distruttivo o creativo della nostalgia e sull'esistenza come mistero indicibile. "Wild girl wild boy" è diversa eppure vicina alle storie di Almond che conosciamo: racconta di lutti, attese, paure, mancanze, fenomeni occulti, iniziazioni; di uno smarrimento d'identità e della riscoperta di una speranza; della vita che dopo ogni piccola o grande morte si ripresenta più salda e più luminosa. Età di lettura: da 10 anni.