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Mentre il regime fascista promuoveva trionfali rassegne dei capolavori dell'arte italiana in Europa e negli USA, negli anni Trenta si tennero in Italia una serie di esposizioni che si concentrarono più efficacemente sui singoli artisti e sulle scuole regionali. Curate dai migliori funzionari dei musei civici e nazionali, tali mostre aggiornarono lo stato degli studi e ne favorirono la revisione da parte di una nuova generazione di critici. Nello stesso tempo, esse offrirono a un pubblico mai così vasto la possibilità di vedere un patrimonio artistico disperso momentaneamente ricomposto, talvolta in allestimenti sperimentali che anticiparono gli esiti della museografia del dopoguerra. Per quanto diverse fra loro per spessore scientifico e successo di pubblico, le mostre d'arte antica divennero l'evento principale delle celebrazioni della storia culturale delle città d'Italia, riuscendo a realizzare un proposito più volte espresso dopo l'Unità. Affiancate dalle immancabili manifestazioni di regime, esse costituirono uno dei pilastri di quella "invenzione della tradizione" operata dal fascismo per costruire una moderna cultura di massa.