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"Scrivere versi in lingua di Sicilia è, per Anna Maria Bonfiglio, dare parola al grembo poetico della gestazione del sé, del proprio essenziale rivelarsi ed esprimersi. Noi lettori, per simpatetica auscultazione e consonanza d'afflatus, ne cogliamo il punto sorgivo, il germoglio, la cellula-tuorlo rivelatore. Auscultiamo, dunque, tendiamo acuto il nostro orecchio, poggiamolo sul suo ventre e sul suo petto: il verso non svela il mistero dell'essere nel mondo ma vi è dentro, nel Mistero, consustanziati. Certamente è prorompente, nel poeta, l'esigenza di scavare al di sotto della superficie del vissuto ma, nell'emersione, ciò che si ritrova è l'infinita ricchezza del proprio sé nell'amore e nella dignità umana, senza dispersione alcuna. Una poesia che s'innesta, come principio primo, sulla fortezza del proprio sentire e pensare e, pertanto, non cristallizzabile in schemi e assemblaggi, non impalpabile per illusorie immaginazioni o vanificazioni ma poesia prensile, corposa, carnale, ferita aperta con sale bruciante che ne fa stillare amaro e dolore. Lingua di Sicilia, come letto fluviale di parola, perché questo è il fluido originario della verbalità... ." (Dalla pref. di E. Monachino).