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Con questa riscrittura dell'"Ifigenia in Aulide" che si carica anche di echi shakespeariani, faustiani e biblici, Marina Carr offre una critica penetrante del miracolo economico irlandese, proiettando i lettori in una Emerald Isle urbanizzata e cementificata, tesa verso una dissennata corsa al profitto, in mano a politici corrotti e senza scrupoli. Al di sotto di una compiaciuta facciata di prosperità, questa secolarizzata Irlanda moderna - che riceve la propria rappresentazione simbolica dalle vicende della famiglia Fitzgerald, nel cui salotto è ambientata l'intera pièce - al tempo stesso appare come un mondo barbarico e primitivo, nel quale i destini di sangue si tramandano di generazione in generazione. Le due visioni, secolare e mitica, sempre compresenti e confliggenti in scena, trovano un loro corrispettivo anche a livello linguistico, nelle variazioni di registro e soprattutto di ritmo, nell'alternarsi di rapidi scambi dialogici a vere e proprie sequenze di monologhi che evocano, magicamente, mondi "altri" e riportano alla dimensione dello "storytelling" tipica del teatro irlandese. Nel riprodurre tali modulazioni, questa traduzione italiana del testo ricrea efficacemente il parlato colloquiale e familiare, concedendosi talvolta il ricorso a regionalismi, ma conservando intatti il potere di suggestione e la qualità poetica della scrittura originaria.