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«Spesso, sfogliando opere consacrate all'arte fantastica, sono rimasto sorpreso nel constatare a qual punto i loro autori accettino facilmente, per non dire supinamente, d'esser stupiti dalle immagini che hanno riunito e che, per lo più, non sono affatto stupefacenti, se solo ci si sforza di ricondurle alla loro origine o di rapportarsi all'intenzione dell'artista, che può esser proprio quella di stupire a buon mercato o di simulare il mistero. Quel che accrebbe la mia perplessità fu che, in un campo peraltro impropriamente dilatato fino a includere quasi tutto ciò che in qualche modo va contro il comune buon senso o la rappresentazione fotografica della realtà, mancano regolarmente le opere che, per quanto mi riguarda, considero le più impregnate di un fantastico difficilmente riconducibile a una bizzarria locale, a un dato ignoto o a un'intenzione deliberata. Le invenzioni dei miti e i misteri delle religioni non li ritengo certo fonti sufficienti in sé dell'intrusione del fantastico, proprio perché il meraviglioso vi è insediato per diritto divino e tutto è per principio prodigio o miracolo. Mi sembra tuttavia ingiusto e, di fatto, inesatto non ammettere che un elemento estraneo o ribelle possa venire a innestarvisi riuscendo in qualche modo a snaturarli, a redimerli dal loro carattere sovrannaturale. Si apre allora la faglia, lo scarto, la contraddizione attraverso cui s'insinua generalmente il veleno del fantastico. Un che d'insolito e d'inaudito, di contrario alla loro natura, si trova paradossalmente introdotto in quei mondi troppo liberi, senza leggi né ordine. È evidente: cerco decisamente non un fantastico dichiarato, ma un fantastico insidioso che accade d'incontrare nel cuore stesso di un fantastico preconcetto o necessitato come un elemento estraneo o fuori posto: un fantastico secondo, un fantastico, per così dire, in rapporto al fantastico.».