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Di formazione internazionale, Vittorio Alfieri fu uno dei massimi poeti e intellettuali europei della fine del XVIII secolo, e il suo valore fu ampiamente riconosciuto in Europa tra Sette e Ottocento. Goethe fece tradurre e rappresentare a due riprese il suo capolavoro: Saul (opera, scrisse Sismondi, "completamente diversa da tutte le altre tragedie d'Alfieri"). Puskin riecheggiò un luogo del "Filippo" in una sua lirica, e citò un passo di "Del Principe e delle Lettere" in una lettera scritta in difesa d'un decabrista. Byron e Landor videro in lui un modello di scrittura teatrale. "La Vita", ancora apprezzata da Aldous Huxley, è la più bella autobiografia scritta in lingua italiana nel Settecento: "piedestallo che il grande tragico predispose per farvi collocare la sua statua", scrisse Eugenio Montale. E un eccellente documento diaristico è il suo "Giornale". La sua carriera intellettuale e artistica e inseparabile dal contesto culturale e politico europeo: la svolta post-illuminista; l'innovativo, radicale, e al suo interno variamente orientato, neoclassicismo; gli scuotimenti politici che agitarono il Vecchio continente; la formazione delle ideologie nazionaliste. Se hanno perso attualità le sue scelte politiche, i suoi atteggiamenti profetici, la sua stessa poetica, resta viva la sua non facile poesia. Gli autori tratteggiano l'opera alfieriana senza tralasciare gli scritti minori.