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Partendo dal titolo di un memorabile film di Michelangelo Antonioni del '64, appunto "Deserto rosso", dove è al centro una figura femminile inquieta e tormentata, Maria Borio compone un testo in due parti di intensa coerenza interna. La protagonista, rivolgendosi a un interlocutore reale o immaginario, scrive a partire a sua volta da una situazione di profondo disagio e insieme di sensibile apertura viva al reale che la circonda, in cui è anzi immersa. Una realtà anche naturale, talvolta vissuta come un sogno o un'allucinazione carica di tracce e presenze varie, in cerca sempre della parola autentica, «in questa cosa laica che è il mondo». La compattezza materica del suo tessuto espressivo si offre con singolare densità, tutta minuziosamente da esplorare, in una straordinaria serie in felice accumulo di sensazioni e circostanze. Ma poi il "rosso deserto" di Maria Borio si sviluppa articolandosi in movimenti strofici, conservando la densa energia nei rivoli molteplici dell'osservazione di sé e del mondo e nella riflessione sull'identità e il senso del nostro esserci. Un capitolo molto significativo di una delle nostre giovani voci di più solida personalità.