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Sottili, raffinate, e insieme tremende, queste nuove, notevoli poesie di Giorgio Prestinoni. Unite tra di loro - nelle due sequenze e nella breve, sinistra, centrale gita in cui sono organizzate narrativamente - dal forte senso di una improprietà e di un disagio dell'esserci, dell'essere al mondo, nel mondo, da un senso, dunque, della propria umana imperfezione o semplice inadeguatezza. Lo vediamo nei passi goffi di un "danzatore" trasognato ed estraneo a una realtà esterna che pure osserva attento, tra insofferenza e meraviglia. Il lettore viene poi coinvolto dall'infelice destino di un altro personaggio, affetto da acondroplasia, un nano insomma, ulteriormente storpiato nel suo povero corpo da un maldestro tentativo medico di normalizzarlo. Il suo attrito di sofferenza con l'esistere appare quasi come l'improba, paziente fatica dell'uomo per adattarsi al proprio destino, prima di rendersi conto di avere ricevuto in dono, a conti fatti, un solo vero, modesto privilegio, "Il privilegio di essere ciò che siamo".