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È la famiglia piccolo borghese, nella cui valva materna e paterna cresce il bambino - nel dialetto della sua città, il "putìn"- l'osservatorio di un'Italia anni cinquanta, protesa a risorgere dalle distruzioni della guerra. Nelle piccole vicende di casa il bambino filtra quelle maggiori della Storia, già oggetto di precoci letture nei personaggi del passato, in un dissacratorio confronto fra i grandi di casa e i Grandi della Storia. Nella cruda percezione del divenire di cose e persone si matura nel bambino prigioniero dei genitori la scoperta del nesso vita-morte come seme della scrittura, destinato a dare il suo frutto nel futuro, quando guarirà dall'ansia delle parole che lo estraniava dagli altri bambini. Tutto infatti si colora di mistero, alla sua "doppia vista", puntata a cogliere quel che permane in quello che passa. È arduo capire perché gli uomini si dividano in comunisti e democristiani. Perché i colleghi di banca del padre si animino solo per parlare di calcio. Perché il papa si faccia tanto serio ascoltando le notizie politiche del giornale radio, esultando però di quella sulla morte di Stalin. Perché s'inginocchi la mamma davanti alla televisione quando appare sullo schermo in bianco e nero il successore di Pio XII, un simpatico grassone.