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Nella Polonia di fine Settecento il "Veggente di Lublino" e il "santo Ebreo" di Pzysha sono i maestri spirituali di correnti chassidiche contrapposte cui fanno capo due importanti comunità. Il primo è persuaso che per vedere realizzati i propri desideri si possa influire sulle potenze superiori e non disdegna il ricorso a pratiche magiche; il secondo rifiuta magie e miracoli e sostiene la necessità di un profondo rinnovamento interiore. I due saggi si dividono anche di fronte alla storia: è il tempo delle guerre napoleoniche, e per il "Veggente" il condottiero francese non è altri che il Gog del paese di Magog della profezia di Ezechiele, che anticipa la venuta del Messia, un evento che per il "santo Ebreo" può essere preparato, invece, solo nell'intimo dell'uomo, con un rivolgimento spirituale. In un racconto dal respiro epico, in cui gli aneddoti sui rabbini e i loro discepoli, attinti dal tesoro delle leggende chassidiche, si inanellano gli uni negli altri con un'accattivante fluidità, Martin Buber tratteggia la sfida appassionata tra i contendenti, facendo affiorare anche i profondi legami fra le due tradizioni. Frutto di una lunghissima gestazione, non sorprende che il libro abbia trovato la sua ultima maturazione all'inizio della Seconda guerra mondiale, in un'atmosfera di cui l'autore ha colto l'essenza "di crisi tellurica", di "tremendo ponderarsi delle forze" e "falso messianismo d'ambo le parti".