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Tra i protagonisti dei moti del 1848, a Lecce, c'era anche Gennaro Simini, un colto medico di schiette simpatie mazziniane. Perseguitato dal regime borbonico, il patriota salentino si rifugia dapprima a Corfù e poi a Scutari, nell'Albania ottomana. Sempre in contatto con i compagni di fede, e con lo stesso Mazzini, in un ambiente certo non facile, grazie al suo rigore professionale e alla sua calda umanità si guadagna un ruolo sociale e politico di spicco. Raggiunta finalmente l'unità d'Italia, ha l'opportunità di tornare in patria e occupare cariche di prestigio offertegli direttamente a Vittorio Emanuele II. Preferisce invece rimanere nella sua seconda a che vuole libera dal dominio turco, operando una scelta che, pur sensibile entro i canoni di una cultura politica dominata dalla mantica figura dell'Eroe dei due mondi, non cessa tuttavia di suscitare perplessità nel lettore contemporaneo. Ma forse, come sostiene Franco Cardini nella sua Prefazione, non sarebbe errato leggere le vicende di esto patriota di metà Ottocento come un romanzo d'avventura...