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Nella seconda metà del XIX secolo e nei primi quattro decenni del XX secolo le progredite nazioni dell'Europa, all'apogeo della "civiltà della meccanica", individuano nella capacità di organizzare grandi esposizioni una formula di sicura distinzione. Sono pure altre le realtà pienamente partecipi della così detta "età aurea" del capitalismo, come gli Stati Uniti e il Giappone o anche alcuni degli stati più promettenti dell'America Latina e soprattutto alcuni fra i domini europei d'oltremare che prendono parte attiva a questa sorta di gara internazionale di primati, o tecnologici o produttivi o, ancora, organizzativi. Ma è tuttavia il "vecchio continente", almeno fino alla prima guerra mondiale e con alterne fortune fin quasi alle soglie del secondo conflitto mondiale, a conseguire i risultati più propositivi in questa categoria di manifestazioni rivelatrici anche del polso culturale delle singole società promotrici. Pensate come effimere "città dei prodotti", nelle quali l'iperbole è la regola (tanto in relazione alla riproposizione amplificata di forme del passato quanto in occasione di innovativi o avveniristici cimenti progettuali) le grandi esposizioni sono, anche, autentici "laboratori" della cultura del progetto architettonico.