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Un viaggio tra storia e geografia del territorio: la cucina reggiana tradizionale raccontata con amore e ironia, impertinenza e acutezza, ricostruzioni irriverenti della memoria e cura per la filologia dialettale. In epoca di fast food, Gabriele Franceschi protegge e valorizza quella cucina fatta di lentezza, di pazienza, di rispetto, di cibi genuini e sinceri come la terra reggiana. I cibi tradizionali, rivela l'autore, non sono quelli sempre più spesso propinati come "tipici", in frettolosi ristoranti o in approssimativi ricettari. E apre un divertente teatrino polemico sul giusto canone culinario della tradizione reggiana. Demolendo molti luoghi comuni, come quello che vuole la nostra cucina fondata solo su grana, paste ripiene, brodi di cappone, salumeria ed erbazzone. L'autore ripercorre anche le profonde differenze tra i cibi e le bevande tipiche dei territori di montagna e di pianura, tra quelli di città e della campagna. E anche quelle fra diversi strati sociali: la cucina borghese, quella operaia e proletaria di Santa Croce, e quella sottoproletaria di Borgo Emilio, "mitico" quartiere un tempo tormentato da una fame atavica. Sfatando così il mito di una presunta "tipicità reggiana" monolitica e tutta uguale dal Cusna al Po.