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Prendete un uomo molto giovane. Inoculategli un virus di montagna maligno e tenace. Quando il giovane si ammalerà d'amore per i monti di casa sua, esiliatelo per vent'anni in un paese grigio, piatto, senza vento, senza polvere, senza sole e senza luna. Lì verrà amputato della terza dimensione e costretto a vedere e a pensare orizzontale. Applicategli poi un supplemento di pena da scontare in paesi ancora più lontani, su continenti remoti. In tutto saranno trentacinque lunghissimi anni durante i quali il mondo sfilerà davanti alle sue montagne oscurandole tutte. È accaduto a Silvano Gregoli, sopravvissuto grazie all'ostinata scrittura di storie di montagna: piccole perle di autodifesa nate in momenti di acuta nostalgia.