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Se i primi fotografi raccolsero involontariamente materiale d'interesse etnografico, adoperando lo strumento fotografico per documentare diverse situazioni locali (come vita quotidiana, persone, moti risorgimentali, delinquenza e prostituzione), i primi antropologi si avvalsero invece consapevolmente del nuovo mezzo, che iniziò a diventare un corredo indispensabile nel bagaglio di coloro che, soprattutto nell'ultimo ventennio del XIX secolo, si recavano "sul campo" in missioni di studio. Anche in una realtà isolata come la Valle d'Aosta, la fotografia fece il suo ingresso a fine Ottocento e fu subito adottata da alpinisti, studiosi o semplici curiosi, come fedele e immediato mezzo di riproduzione del reale. Ogni autore ci appare oggi come un organismo autonomo - venuto a contatto a volte casualmente con questo strumento - e testimone del proprio tempo in modo sempre personale e differente, per formazione, cultura e sensibilità. Ciascuno di loro, quindi, ci fornisce un prezioso documento: sovente scaturito da un uso amatoriale o commerciale dell'apparecchio, altre volte frutto di una più esplicita consapevolezza. Oggi è l'Antropologia Visiva - disciplina solo recentemente sistematizzata e promossa - a teorizzare la fotografia come parte integrante di un processo di ricerca, senza trascurare il valore di un'indagine etnografica elaborata a partire da immagini del passato.