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Nell'Italia del Trecento la diffusa Commedia di Dante Alighieri divenne presto un cult che tutti avevano a portata d'orecchio e di memoria, ma non potè fare a meno di tenersi dietro una ridda naturale di difficoltà di comprensione: arduo per scelta, il poema dell'arrabbiato esule fiorentino si presentava all'attenzione del mondo bisognoso di chiarificazioni che ne illustrassero i contesti, i significati e gli indecifrabili sottintesi, appassionante nella sua carica ma depotenziato senza una spiegazione esauriente. Era nato un classico, ma dovevano entrare in azione i promotori di una sua effettiva valorizzazione, gli uomini in grado di soddisfare le esigenze indicate. Dopo mezzo secolo di esperimenti interpretativi giunse l'intervento di un grande esperto di classici, Giovanni Boccaccio, il primo a parlare di Dante a un pubblico, e subito dopo l'analoga iniziativa di un professionista di classici, il docente per mestiere Benvenuto Rambaldi da Imola, che inserisce fra le sue attività un ciclo di lezioni sulla Commedia. L'istituzione del classico diventava cosi ufficiale: era la scuola a legittimarne il ruolo, l'impegno della didattica lo faceva diventare un sapere. Benvenuto fece cosi ciò che faceva sempre con un testo, leggere e spiegare, ossia una lectura. La sua prima esperienza con il nuovo classico fiorentino si tenne nella sede abitualmente utilizzata per la sua attività di insegnante, un'aula nella contrada di Porta Nuova a Bologna; di quanto disse il professore restano gli appunti di un allievo presente al corso, le cui note vengono a costituire ciò che può essere definita come la benvenutiana Lectura Dantis Bononiensis.