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"M.A.S.H.": ventisette personaggi principali. "Nashville": ventiquattro personaggi principali (più l'invisibile e onnipresente candidato presidente Hal Philip Walker). Tre anni dopo, nel 1978, in "Un matrimonio", cinquanta. E ancora, venticinque in "I protagonisti", trenta in "America oggi", trentadue in "Prèt-à-porter", quaranta in "Gosford Park". E questi sono solo i film più "affollati" della straripante, generosa filmografia di Robert Altman: quasi quaranta film dal 1957 al 2006, una quantità incalcolabile di documentari e serie televisive fin dai primi anni Cinquanta, e regie teatrali, opere, tv movie. È stato probabilmente il più prolifico degli autori emersi dal cinema americano anni Settanta, e certamente il più innovativo: con il suo stile sinuoso, calcolatissimo e insieme assolutamente libero, Altman ha raccontato meglio di chiunque altro (e con più determinata continuità) l'America che si confrontava disillusa con il crollo dei propri valori, con il dopo-Vietnam, con la paranoia dei complotti e degli attentati, con la disgregazione degli ideali, con il vuoto spettacolo di se stessa. Ha rivisitato tutti i generi (fantascienza, western, mèlo, commedia, musical, noir, thriller), ha messo in scena il carrozzone della politica e della vita quotidiana, ha amato moltissimo i suoi personaggi, senza trasformarli mai in eroi. Il suo cinema è lucido, ironico, appassionato, anche quando, come in "America oggi", ispirato a Raymond Carver, danza letteralmente sull'abisso che inghiottirà la civiltà.