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Dall'autunno del 1928 a quello del 1930 Depero, durante il primo viaggio negli USA, visse a New York una stagione irripetibile, dove verificò e sperimentò quello che i futuristi in Italia avevano solo vagheggiato: traffico automobilistico già incredibile, grattacieli, treni sotterranei e anche sopraelevati in un agglomerato urbano fuori scala rispetto alla situazione italiana. Perciò, quando tornò in Italia, in un'Italia indietro di quaranta, cinquant'anni rispetto agli Stati Uniti, si rese conto che non aveva più nulla da immaginare, non vi era più una "visione futura" nella sua mente, perché lui il Futuro lo aveva già vissuto a New York. Per questo motivo un po' alla volta si distaccò dal Futurismo. Depero durante il periodo bellico lavora incessantemente, e scrive, scrive sempre. Nell'inedito qui pubblicato utilizza l'escamotage del dibattito, perché gli forniva la possibilità di spiegare la sua arte in un modo non pedante, quasi in forma teatrale, quindi con una scrittura più scoppiettante. I temi che affronta sono i più riservati e profondi tra tutti quelli che può presentare un artista: in un passaggio dal manoscritto si lancia in una sorta di "retro marcia" dal presente al passato, innescata sul concetto di arte antica, un passo dalle venature quasi surrealiste. Come scrive il curatore del volume Maurizio Scudiero: «È un Depero a tutto campo quello che transita in questo manoscritto, un Depero che ci restituisce la storia del Futurismo e dell'arte vista attraverso la lente di chi la storia dell'arte della prima metà del XX secolo l'ha vissuta in prima persona, ricavandone tanta soddisfazione».