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Scotti ripercorre, con passione civile e con occhi critici, la storia della "questione meridionale". È una severa analisi dei comportamenti della classe dirigente dell'Italia, incapace, a più riprese, di comprendere le grandi potenzialità che il Sud ha rappresentato per il Paese. Negli anni cinquanta, anche per impulso del "nuovo meridionalismo", si era riusciti ad imboccare la strada giusta. Ma il cambiamento degli equilibri del mondo, alla metà degli anni Settanta, ha, di fatto, bloccato lo sviluppo del Sud, concorrendo alla sua involuzione e alla marginalizzazione della politica nazionale di sviluppo del Mezzogiorno. Negli ultimi venti anni la questione è praticamente sparita dall'agenda politica del Paese e si è frantumata in tante piccole questioni locali, diventando sempre meno "questione nazionale o europea" e le regioni del Nord hanno pensato che l'Italia potesse fare a meno del Sud: l'Italia è diventata corta. Oggi il mondo sta profondamente cambiando nei suoi equilibri economici e politici. Nuovi paesi-continenti emergono prepotentemente sulla scena mondiale e modificano il vecchio assetto Nord-Sud. Ritorna urgente il bisogno di unificare il Paese e di trasformare il Sud da "problema" a "risorsa". Scotti legge i cambiamenti alla ricerca di una strategia che renda possibile l'unificazione e scorge un ruolo strategico per il Mezzogiorno quale "ponte" per l'integrazione dell'Europa nel Mediterraneo: il Mezzogiorno può diventare una grande piattaforma tecnologica e logistica.