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A Palermo circola, tra le tante leggende popolari, quella secondo cui nella quadreria di una famiglia nobiliare sia conservato uno specchio di tela armena ottenuta dalla lavorazione del papiro, la cui cornice era parte integrante di uno di quelli che uomini di cultura araba erano soliti esporre agli angoli delle strade della città, per dare modo ai passanti di acconciarsi, al soldo di un'offerta. Questo specchio pare abbia, grazie allo spirito benigno che vi dimora, la facoltà di duplicare e fissare sulla tela immagini di soggetti innamorati. Si narra che nel XV secolo vi sia stato dipinto, da un pittore del Nord, il ritratto di una nobildonna siciliana, e che fra l'artista e la fanciulla fosse nato l'amore. Il pittore Cosimo Armagnati raggiunge Palermo per lavoro: gli viene commissionata la riproduzione di un'opera del periodo rinascimentale per lui molto significativa, il ritratto di una donna. Durante l'incontro con il sovrintendente Ferdinando Velia, quest'ultimo gli propone la lettura di un testo che tratta dell'Inquisizione: vi si narra la storia di Beatrice Gurrieri, accusata di stregoneria. Cosimo resta affascinato dalla tematica trattata, anche perché vi sono omonimie tra lui e il presunto scrittore del testo e tra il sovrintendente e uno degli accusatori della donna. È trovandosi di fronte al quadro che deve riprodurre che accade l'impensabile: sente il tocco di dita femminili che gli sfiorano le labbra e prende coscienza che la donna del dipinto è lì, in carne e ossa.