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"Ave, messia del football arricciato, allenatore di viso corrucciato, di manette ammanettato, filoso del fallo laterale, poeta del pressing, esegeta dei novanta minuti più recupero, chiosatore dell'offside e notista vocale del penalty-no penalty, predicatore del successo ad ogni costo". In medio stat virtus? No. Non esistono mezze misure quando si ha a che fare con lo Special One. Persino nel nome: "Mou, diminutivo dolce come una caramella al latte, Mourinho tosto e sanguigno". Eccessivo ma con eleganza, proprio come le sue squadre, spregiudicate ma sempre attente alla difesa; croce (poco) e delizia (molto) dei quotidiani sportivi, amato e odiato, amico e nemico, simpatico e antipatico. Unisce undici giocatori e divide milioni di tifosi. "One. Special One. Number One. One and One", di se stesso dice: "Non sono il migliore del mondo, ma penso che nessuno sia migliore di me". Diretto, sfrontato e imprevedibile, un astuto comunicatore, ma soprattutto, non lo si dimentichi mai, un allenatore vincente. Insomma, che piaccia o meno, Mourinho è riuscito a ridare vitalità e peso, con le sue parole e con il suo gioco, al calcio italiano, altrimenti sfiancato da scandali, fughe di soldi e di talenti e immobile nelle frasi fatte e scontate della falsa diplomazia. E allora "dagli, Mou! Di' quello che pensi e buonanotte al secchio e al pallone".