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Protagonista del racconto è un giardino a terrazze digradanti come ve ne sono nelle colline attorno a Verona. Nelle sue alterne vicende con le persone che lo animano, e con la città scaligera che fa da fondale prospettico - la "bella Verona" shakespeariana -, il luogo agisce da ambientazione scenica, ma anche da sensibile, espressiva cassa armonica che fa risuonare il racconto. Barricato in una solitudine affollata di piante, Pietro lavorava nell'orto dalla mattina alla sera e chissà quali pensieri ruminava sotto il basco color caffè calzato sopra le orecchie: "Nel giardino forse pensava il giardino, modellandolo nel pensiero come un'opera d'arte. E ne immaginava forse i sentimenti e i desideri, persuaso che la natura sia simile a noi più di quanto possiamo credere". Passato nelle mani di tre sorelle, il giardino precipita nel silenzio della non comunicazione, in un'insignificante freddezza che niente può consolare. Sembra quasi non rappresentare un'eredità desiderabile. "Che ne sarà quando sarò morto?" sussurra Pietro ormai vecchio, in un sospiro appena udibile, quasi presentendo l'abbandono della creatura che gli era vegetata tra le mani. "Nella forma in cui lo vedi adesso, non durerà neanche un mese..." dice alla minore delle tre figlie, l'unica contagiata dall'esperienza del giardino, irretita in un desiderio ossessivo e in un'irriducibile nostalgia, che la fa sentire in esilio da se stessa.